XVI domenica per annum
Ecce Deus ádjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus Dómine. (Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore sostiene la mia anima: fa’ ricadere il male sui miei nemici, e nella tua verità disperdili, Signore mio protettore.) – cfr. Sal 53,6-7 Vulg.L’antifona della XVI domenica è composta nel quinto modo, il “modo allegro”. L’allegria pervade le tre sezioni di cui essa è composta, sempre evidenziate da salti di note che dalla dominante cadono sulla tonica, quasi a ricordarci il «buon seme» (Mt 13,24) che cade sulla terra. La prima frase sembra descrivere, con le sue note alla base del tetragramma, che il Signore «aiuto e difesa» si immerge nella nostra vita come il «lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti» (Mt 13,33). L’antico compositore volle mettere l’apice della melodia sulla parola meae, per ricordarci che l’incontro col Signore deve riguardarci sempre personalmente: «A cosa mi serve, cosciente di tanti peccati, di sapere che un giorno il Signore verrà, se non viene nella mia anima, non viene nel mio spirito, se Cristo non vive in me, se Cristo non parla in me?» (S. Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca, X, 7). Così è evidente − una serpentina di neumi tutti sulla dominante − che il male si ritorce su chi persevera in esso. Non sarà un caso che la frase ribatta ben quattro volte il Si bequadro, apice del tritono in rapporto alla finalis del modo: è il famoso diabolus in musica! La terza sezione dell’antifona infonde fiducia perché, sempre, Dio «disperde i superbi» (Lc 1,51), e ci dà il motivo più profondo di tanta allegrezza: «Dopo i peccati, esiste la possibilità di pentirsi» (Sap 12,19). Il neuma sulla parola meae si ripropone sulla parola meus, e con tre piccole scalette discendenti approda alla base del rigo, dove ci aspetta il Signore, Dominus. Negare il peccato significa anche negare la possibilità del cambiamento. Significa che una volta finito a terra il seme marcisce e basta. Ma, con gli occhi della fede, sappiamo che non è così: anche un piccolo seme caduto a terra, grazie al potere di Dio (cfr. Sap 12,18), «diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami» (Mt 13,32).
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