XI domenica per annum
Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adiútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus. (Ascolta, Signore, la mia voce, con cui ti ho invocato: sii mio aiuto, non abbandonarmi e non disprezzarmi, Dio, mia salvezza.) – Cfr. Sal 26,7.9 Vulg.Nell’armoniosità del quarto modo, è racchiuso l’incontro fra due voci: quella dell’uomo che grida a Dio, e quella di Dio che umilmente si rivolge alla sua creatura: «Se vorrete ascoltare la mia voce» (Es 19,5). Le note che dalla base del tetragramma salgono fino alla chiave traducono visibilmente il gesto del Signore che «solleva su ali di aquile e fa giungere fino a Sé» (Es 19,4). E quella voce è quasi una supplica: «Lasciatevi riconciliare con Dio». (2Co 5,20). Fatto non semplice. Nel cuore dell’uomo, il demonio instilla sempre la massima disarmonia: l’idea traumatica di essere abbandonati e disprezzati da Dio. Allora, ecco l’istinto di nascondersi da Dio (cfr. Es 3,10) ribaltando l’opzione fondamentale della nostra vita: il Signore non è più il Salvatore, ma il castigatore. Non è «Colui che ci salva dall’ira» (Rm 5,9) ma Colui che la riversa sul creato. Non è Colui che manda a «guarire ogni sorta di malattie e d’infermità» (Mt 10,1), ma che confeziona croci. Questa è la strada dei pagani verso la quale non dobbiamo andare: Eis hodòn ethnòn mè apèlthete (Mt 10,5). Quella voce ancora infonde un potente mandato: «Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni» (Mt 10,8). Proprio il contrario di quanto impone lo spirito immondo: scacciare gli infermi, risuscitare i demòni, appestare i puri e far morire gli innocenti.
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