XII domenica per annum
Dóminus fortitúdo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est: salvum fac pópulum tuum, Dómine, et bénedic hæreditáti tuæ, et rege eos usque in sǽculum. Il Signore è la forza del suo popolo e il rifugio di salvezza del suo consacrato; salva il tuo popolo, Signore, e benedici la tua eredità, sostienili per sempre.) – Cfr. Sal 27,8.9 Vulg.L’antifona ammanta con un velo di tristezza le parole più belle e incoraggianti che possano essere rivolte ad ogni fedele. Ogni fedele è parte del popolo di Dio, della sua gente, della sua eredità. E il Signore si rivolge a questo suo popolo così speciale come suo Signore, fortezza, salvezza, protettore, benedizione. Ma la tristezza del secondo modo mette in evidenza la dinamica che pervade tutta la nostra esistenza: la paura. Paura della vita, paura degli altri, paura di sé stessi, paura di Dio. È la legge inesorabile della “selezione naturale”, della “lotta per l’esistenza”: «Terrore all’intorno», prevaricazione (Ger 20,10), «insulto e vergogna» (Sal 68), «morte che ha raggiunto tutti gli uomini» (Rm 5,12), «paura di quelli che uccidono il corpo» (Mt 10,28). In una parola: la paura del non senso della vita. Ecco allora la luce di Dio che illumina le tenebre dell’esistenza (cfr. Gv 1,9). Ecco allora Dio che, in Cristo, si fa prossimo ad ogni uomo e «riversa la sua grazia in abbondanza su tutti gli uomini» (Rm 5,15). Ma è solo nella fede che vinciamo la tentazione sempre sibilante del satiro Sileno: «Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, Il meglio è per te non essere nato, non essere, essere niente». Solo nella fede vinciamo ogni paura (cfr. Mt 10,26), perché sappiamo che «perfino i capelli del nostro capo sono tutti contati» e certamente noi «valiamo più di molti passeri!» (Mt 10,30-31).
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