XXXII domenica per annum
Intret orátio mea in conspéctu tuo: inclína aurem tua ad precem meam Dómine.(La mia preghiera entri al tuo cospetto: tendi l’orecchio alla mia preghiera.) – cfr. Sal 87,3 Vulg.
L’antifona della XXXII domenica è in terzo modo, il modo “mistico” e canta il rapporto con Dio nella preghiera. L’esordio è un pes con intervallo di quarta (sol-do) quasi a descrivere un balzo verso l’alto: «Chi si leva per essa [per la Sapienza] di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta» (Sap 6,14). La melodia della breve antifona è tutta costruita sulla dominante (nota sul rigo con la chiave). Ancora, troviamo un intervallo di quarta (la-re) sull’ultima sillaba di mea proposto in modo speculare (re-la) sulla prima sillaba di tuo, come per indicare che la Sapienza stessa va incontro a coloro che la cercano (cfr. Sap 6,16), come lo Sposo va incontro alle vergini (cfr. Mt 25,10). L’apice della melodia è su inclina per ricordarci che se è vero che Dio piega il suo orecchio verso di noi, noi siamo destinati ad «andare incontro al Signore in alto» (1Ts 4,17), come ancora sottolinea il salto di quarta (la-re); salti di quarta li troviamo ancora precem meam [la mia preghiera] – che dalla finalis sale alla dominante – e su Domine [o Signore]. Tale destino, tuttavia, si compie con la nostra collaborazione: «Andategli incontro!» (Mt 25,6). La vigilanza (cfr. Mt 25,13) ci fa cogliere tutte le occasioni di operare il bene quando si presentano, di versare l’olio della misericordia. Le vergini stolte presumevano che per entrare alle nozze sarebbe bastato essere vergini e portare con sé un contenitore vuoto (cfr. Mt 25,3), e che non avesse importanza arrivare «più tardi» (Mt 25,11). Ma non è così. La supplica accorata con cui inizia l’antifona («giunga al tuo cospetto la mia preghiera») ci mette in guardia dal “presumere di salvarsi senza merito”. Entrare nel Regno non è un dato scontato. Non avere praticato le opere di misericordia corporale e spirituale al momento opportuno ha un amaro epilogo: «La porta fu chiusa» (Mt 25,10). L’incontro con lo Sposo non si improvvisa, va preparato. La lampada «di sé stessi» [heautòn] (Mt 25,1) va «resa bella» [ekòsmesan] (Mt 25,7). È così che poterono entrare alle nozze (cfr. Mt 25,10) tutti coloro che avevano saputo riempire di amore tutti i «piccoli vasi» (Mt 25,4) della quotidianità.
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