O Sapientia (17 dicembre)
O Sapiéntia, quæ ex ore Altíssimi prodísti, attíngens a fine usque ad finem, fórtiter suáviter disponénsque ómnia: veni ad docéndum nos viam prudéntiæ.O Sapienza, che uscisti dalla bocca dell’Altissimo (Siracide 24,5), ti estendi da un estremo all’altro estremo e tutto disponi con forza e dolcezza (Sapienza 8,1): vieni a insegnarci la via della saggezza (Proverbi 9,6).
Dal 17 al 23 dicembre, al Magnificat dei vespri di rito romano si cantano sette antifone, una per giorno, che cominciano tutte con un’invocazione a Gesù, pur mai chiamato per nome. Questo settenario è molto antico, risale al tempo di papa Gregorio Magno, attorno al 600. Le antifone sono in latino e si ispirano a testi dell’Antico Testamento che annunciano il Messia. All’inizio di ciascuna antifona, nell’ordine, Gesù è invocato come Sapienza, Signore, Germoglio, Chiave, Astro, Re, Emmanuele. Nell’originale latino: Sapientia, Adonai, Radix, Clavis, Oriens, Rex, Emmanuel. Lette a partire dall’ultima, le iniziali latine di queste parole formano un acrostico: “Ero cras”, cioè: “[Ci] sarò domani”. Sono l’annuncio del Signore che viene. L’ultima antifona, che completa l’acrostico, si canta il 23 dicembre. E l’indomani, con i primi vespri, comincia la festività del Natale.
Le antifone sono composte molto accuratamente: dopo un titolo introdotto dalla «O» e giustificato per due righe, salvo nella quinta antifona, l’ultima riga formula una domanda introdotta da «veni/vieni». Inoltre, tutte queste righe costituiscono un centone di vari testi, per lo più dell’Antico Testamento, che annunciano il Messia. Siamo dunque nell’atmosfera dell’Avvento.
Commento all’antifona di padre Maurice Gilbert S.J.
L’invocazione iniziale si rivolge alla Sapienza. Nel contesto liturgico di queste antifone, la Sapienza non è più la figura personificata dell’Antico Testamento (cfr, ad esempio, Pr 8), ma Gesù stesso. Il Nuovo Testamento aveva preparato questa identificazione, senza proporla esplicitamente (cfr, ad esempio, 1Cor 1,24). Già verso gli anni 200, due testi identificano chiaramente la Sapienza e Gesù. Il primo, trovato nel 1945 a Nag Hammadi, in Egitto, si legge negli Insegnamenti di Silvano (VII, 4, 106-107) e il secondo nel trattato di Origene sui Principii (I, 2), commentando però Sap 7,25-26. Questa Sapienza è «uscita dalla bocca dell’Altissimo». Tale sentenza viene da Sir 24,3a (5a nella Vulgata). È la prima parola della Sapienza nel suo lungo discorso e si riferisce alla Parola creatrice di Dio in Gen 1, per mezzo della quale tutte le cose sono state create: nel Nuovo Testamento, questa dottrina è stata detta di Cristo (Col 1,16; Gv 1,3). Secondo il libro della Sapienza di Salomone, la Sapienza «si estende da un confine all’altro [dell’universo] con forza e dispone tutto con soavità» (Sap 8,1). Ripreso nell’antifona in una stesura originale sconosciuta altrove in latino, questo testo aggiunge al precedente l’idea della presenza permanente della Sapienza nel mondo, che essa regge con fermezza e dolcezza. Nell’antifona dunque, vengono accennate la cosiddetta creazione continua e la permanenza cosmica di Cristo, nella linea già proposta da Origene e soprattutto da Agostino (cfr, ad esempio, Lettera 137, 12). Alla fine del breve discorso con cui invita tutti al suo banchetto (Pr 9,1-5), la Sapienza conclude dicendo: «Camminate nella via dell’intelligenza» (Pr 9,6b). La domanda conclusiva della prima antifona cita proprio questo passo, conservando il singolare, viam prudentiæ, dell’importante manoscritto di Cava, in Spagna (ms. 1), ma chiedendo alla Sapienza stessa, cioè a Gesù, di insegnarci questa via sulla quale desidera vederci camminare. Risulta dunque che la prima antifona riprende alcuni testi fondamentali della corrente sapienziale dell’Antico Testamento, ponendo l’accento sull’opera della Sapienza, identificata in Gesù, nella creazione e sulla sua permanenza attiva e benevola nell’universo. In latino, i testi sono citati secondo la versione della Volgata, la quale, per il Siracide e per il libro della Sapienza di Salomone, aveva ripreso l’antica versione del II secolo.
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