V domenica di Quaresima
Júdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta; ab hómine iníquo et dolóso éripe me, quia tu es Deus meus et fortitúdo mea (Giudicami, o Dio, e separa la mia causa da gente non santa; liberami dall’uomo ingiusto e ingannatore, perché tu sei il mio Dio e la mia fortezza) – Cfr. Sal 42,1.2. Vulg. L’antifona di oggi ci introduce nel clima di morte e resurrezione della Settimana Santa. È l’accorata implorazione del fedele che vuole essere liberato dall’uomo iniquo, ingannatore, non santo. «Ab homine iniquo et doloso». Non «a viro iniquo et doloso». Homo, così come gentes, aprono a un senso più vasto: si parla di umanità. E l’umanità non dobbiamo cercarla fuori di noi stessi!! L’uomo iniquo e ingannatore siamo noi stessi quando ci lasciamo «dominare dalla carne» (Rm 8,8). Le note di doloso sono spinte verso l’alto, come il peccato che vorrebbe farci toccare il cielo. E invece è proprio così che il nostro «corpo è morto a causa del peccato» (Rm 8,10). Il corpo prigioniero dell’abitudine al peccato è già sepolto, corrotto, oppresso dal peso della abitudine stessa ed emette il fetore del cattivo esempio che si diffonde (Cfr. Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, Omelia 49). Ma quel «Dio mia fortezza» «che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai nostri corpi mortali» (Rm 8,11). È per questo che Gesù continua a dire alla sua Chiesa: «Togliete la pietra dal sepolcro!». E Lui, che discerne nel profondo, vedendo le nostre mani ancora legate alle cattive azioni, i nostri piedi incatenati su strade di perdizione, il nostro volto coperto dal sudario della vergogna, è ancora pronto a gridare a gran voce: «Liberàtelo e lasciàtelo andare!». Come fece col suo amico Lazzaro. Ma come fece anche con sua sorella Maria della quale disse: «Le sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto (Lc 7,47)»
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