XXIV domenica per annum
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétae tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui, et plebis tuae Israel. (Dona la pace a coloro che sperano in te, affinché i tuoi profeti siano degni di fede. Esaudisci le preghiere del tuo servo e del tuo popolo Israele) – cfr. Sir 36,18 Vulg.La liturgia di questa domenica ci pone di fronte alla nota caratteristica dell’autentico rapporto con Dio: il perdono. L’istinto porta alla vendetta, come sancisce Lamech: «Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette» (Gen 4,23-24). L’antifona, come quella di domenica scorsa, è in modo “grave”, ma sulle parole prophetae tui e fideles inveniantur [i tuoi profeti siano trovati fedeli] modula in sesto modo, il modo “devoto”. E così, ci pone una domanda radicale sulla forza profetica della vera devozione: «Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore? Egli non ha misericordia per l’uomo suo simile, e osa pregare per i suoi peccati?» (Sir 28,3-4). Due bistrophae ribattono la prima sillaba delle parole prophetae e inveniantur per ricordarci la necessità di avere “punti fermi”. Lo scandicus iniziale sale dalla finalis alla dominante su cui è dolcemente collocata la parola pacem. Una pace che non è solo assenza di guerra: è il frutto che il Signore dona a coloro che sono in comunione con Lui, che lo supportano [sustinentibus] nel suo agire salvifico. Un torculus fluido si ripete per quattro volte legando così le parole sustinentibus-tui-preces-tuae: coloro che supportano il Signore, i suoi profeti, i suoi servi, il suo popolo. Una appartenenza a Dio che, come ogni vera comunione, fa assumere le sembianze di chi si ama. E Dio è «magnanimo [macrothumòs] e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà» (Es 34,6), capace di perdonare «settanta volte sette» (Mt 18, 22). Uscendo dalla trappola del «paga quel che devi!» (Mt 18,29), possiamo entrare nella dinamica della magnanimità che consente il perdono [macrothumìa] (cf. Mt 18,26;29). Ogni perdono è in qualche modo una perdita, ma è l’unico modo per entrare nella beatitudine di quella pace (cfr. Mt 5,9) «che il mondo irride, ma che rapir non può» (A. Manzoni, La Pentecoste).
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti sono soggetti a moderazione e verranno pubblicati dopo essere stati approvati.