XXV domenica per annum
Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum. (Io sono la salvezza del popolo, dice il Signore: da qualunque tribolazione mi chiameranno, li esaudirò. E sarò il loro Signore per sempre.) – cfr. Sal 36,39.40.28 Vulg.L’antifona in quarto modo, il modo “armonioso”, traduce nella sua dolce melodia la voce di Dio che parla in prima persona: «Io sono la salvezza del popolo». Egli si presenta come salus, salvezza, salute, e ciò è espresso con una bistropha prolungata in una clivis. I lunghi neumi che caratterizzano l’antifona ci invitano ad avere un’idea larga di Dio. «Dio ama che pensiamo bene di Lui, che confidiamo in Lui, che pensiamo amorevolmente di Lui. Non pensare che Dio non perdoni facilmente. Quanto più un’amicizia umana è intima, tanto meno si è preoccupati per una parola casuale che può avere offeso il proprio amico. Infatti, i veri amici non si pèrdono per sempre a causa di una piccola parola o di un atto che li urta» (D. Considine, Dio ci ama, lasciamoci amare). Dopo il peccato originale, l’uomo anziché confidare in Dio ne ha paura (cfr. Gen 3,10): «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso» (Mt 25,24). Ecco che allora il Signore ci dice: «Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri» (Is 55,9). La stessa melodia si ripete sulle parole clamaverint ad me [grideranno a me] e su exaudiam eos [li esaudirò]. È questa fiducia che ci fa entrare nella vera amicizia con Dio. Un’amicizia ben lontana dal “do ut des” e dallo spirito del commercio: Dio non paga solo il prodotto del lavoro, ma anche l’attesa fiduciosa di lavorare nella sua vigna (cfr. Mt 20,9-12). E qui sta la grande differenza fra l’amicizia disinteressata (philía) e una relazione frutto di interesse. Infatti il padrone chiama l’operaio scontento hetāire [socio] (Mt 20,13). Come il re chiamò colui che aveva osato entrare al banchetto di nozze senza abito nuziale (cfr. Mt 22,12). È lo stesso nome con cui venivano definite le donne che fornivano amore a pagamento, le “etere”. Tristemente, è anche la stessa parola con cui Gesù chiamò Giuda, il suo apostolo, che lo tradiva con un bacio (cfr. Mt 26,50) e lo aveva appena venduto per «trenta soldi» (Mt 26,15).
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