XXVI domenica per annum (A)
In nómine Dómini omne genu flectátur, caeléstium, terréstrium et infernórum: quia Dóminus factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis: ideo Dóminus Jesus Christus in glória est Dei Patris. (Nel nome del Signore si pieghi ogni ginocchio nei cieli sulla terra e sotto terra, perché il Signore si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di croce; per questo il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre.) – cfr. Fil 2,10.8.11 Vulg.L’antifona della XXVI domenica è in terzo modo, il modo “mistico”. È il modo dell’ineffabile, dove le parole esprimono solo un’eco del contenuto. È il modo che, più di tutti, ci apre al mistero. Forse che è una affermazione rara: «Non è retto il modo di agire del Signore!» (Ez 18,25)? La via di Dio non segue la logica strettamente umana. Ha una sua logica, che si illumina solo con la fede, ma conserva inequivocabilmente il suo mistero: «Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi» (Sal 24). Ecco allora che la melodia sale subito dal basso alla dominante sulla parola Domini [del Signore], e si mantiene anche alle parole omne genu flectatur [ogni ginocchio si pieghi] con una tristropha su genu e un torculus che sembra descrivere il flettersi delle ginocchia. Una lieve flessione melodica indica anche l’abbassamento del mondo celeste, ma poi riporta a una “flessione verso l’alto”, ben sottolineata da un’altra tristropha, sulla parola infernorum [sotterranei]. Esattamente il contrario di quanto ci si aspetterebbe! È sempre Dio che innalza ciò che è umiliato (cfr. Mt 23,12). Lo stesso frammento melodico, che quindi correla il significato, è presente sulle parole terrestrium e Christus; ma anche su infernorum e mortem. La dinamica ascendente culmina sulla parola Dominus, il vero motivo per cui «ogni ginocchio si piega» (Fil 2,10) e scende poi fino alla kènosi della morte di croce (cfr. Fil 2,8) che si esprime, da ultimo, nella gloria di Dio Padre [gloria Dei Patris] attraverso la successione di due climacus che approdano alla finalis del terzo modo; la stessa finalis su cui termina la parola crucis. È sempre il paradosso, dipinto dalle note, di Dio che si abbassa per innalzarci a Lui, e che sa individuare il motivo di una sincera ricerca interiore anche in mezzo al groviglio dei peccati. Ma è sempre così difficile accettare la “rettitudine” di Dio che trova il modo di far vivere anche l’ingiusto (cfr. Ez 18,28), di fare grande festa «per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,10), di «salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). È invece assai più facile comprendere la rabbia del figlio maggiore (cfr. Lc 15,28) o dell’operaio della prima ora (cfr. 20,10-12), specialmente alla notizia che «i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio» (Mt, 21,31). Da questo, però, ci possiamo accorgere se in noi vive ancora «l’uomo vecchio» (Col 3,9) o abbiamo accolto «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).
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